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Lo Stato Fondamentale o Vuoto Quantistico

Tutte queste informazioni non sono ancora correlate con l’ipotesi del Bordo Nulla. Pertanto sono solo informazioni.

Quando si parla di “vuoto”, comunemente si pensa ad un recipiente dal cui interno è stata estratta tutta la materia, in altre parole di cui si è diminuito il contenuto di massa.
Considerando l’equazione E = Mc2, che mette in relazione la massa M con l’energia E, si può anche dire che nel contenitore è stata ridotta l’energia.
Secondo la fisica classica ottenere il vuoto significa togliere realmente tutta l’energia, in qualunque forma essa appaia. Quindi, dal momento che anche la luce possiede energia (1), per avere un vero vuoto non ci dovrebbero essere neanche fotoni: il vuoto dovrebbe essere necessariamente “buio”. Considerando il contenitore Universo, il suo stato fondamentale sarebbe, pertanto, un vuoto in cui nemmeno noi dovremmo esserci.

Per la fisica classica il vuoto (inteso come assenza di ogni forma di materia ed energia) è teoricamente possibile seppure, almeno per il momento, tecnicamente impossibile; al contrario, nella meccanica quantistica il principio di Heisenberg (2) pone un veto concettuale alla sua esistenza. Nella prospettiva quantistica il vuoto appare come la condizione di energia minima di un sistema, denominata “stato fondamentale” o “vuoto quantistico”.

Per comprendere il perché di questa definizione prendiamo, ad esempio, un campo elettromagnetico, che Clerk Maxwell dimostrò essere un’entità dinamica e oscillante. Immaginiamo le oscillazioni del campo elettromagnetico (3) come il dondolio di innumerevoli “pendoli”. Se al fine di realizzare il nostro vuoto cercassimo di bloccarli (energia zero) questi rimarrebbero nella loro posizione di riposo e avrebbero contemporaneamente anche velocità nulla; ciò non è possibile proprio perché in contrasto con l’incertezza di Heisenberg, la quale stabilisce l’impossibilità di tale simultanea determinazione. Di conseguenza, nel vuoto che stiamo cercando di creare, l’energia del campo elettromagnetico non sarà mai esattamente pari a zero. Gli esperimenti effettuati indicano che il campo elettromagnetico fluttua continuamente anche nel vuoto più spinto, come un pendolo che non riesca ad assestarsi sulla verticale.
Queste fluttuazioni non sono rilevabili a dimensioni macroscopiche in quanto si compensano vicendevolmente su regioni di spazio sufficientemente grandi (4).
Ribadiamo che le seguenti sono ipotesi che verranno rivisitate con la “Ipotesi del Bordo Nulla”.
Il vuoto quantistico dunque è tutt’altro che vuoto: esso è “un’entità dinamica dotata di incessanti fluttuazioni energetiche (le cosiddette “particelle virtuali”), una sorta di background del mondo fisico da cui “emergono” le particelle “reali”, direttamente rivelabili, che conosciamo (…) le particelle stesse sono descritte come oscillazioni di campo, in continua interazione con le fluttuazioni invisibili del vuoto quantistico” (5).

Il vuoto quantistico, più che a una questione di densità della materia, è quindi relativo alla dimensione dell’osservazione. Infatti anche la materia più densa, osservata a dimensione estremamente piccola, è praticamente vuota. Già all’epoca di Bohr gli esperimenti effettuati portavano a pensare che, fra il nucleo centrale dell’atomo e le orbite elettroniche vi fosse un enorme spazio vuoto: se il nucleo fosse grande come una pallina da ping-pong, l’elettrone più vicino – delle dimensioni di un granello di sabbia – si troverebbe in proporzione ad oltre 1 chilometro di distanza.
Anche questo vuoto in realtà è continuamente percorso da particelle virtuali ed onde, quali ad esempio i fotoni. Le particelle che compaiono e scompaiono continuamente sono dette virtuali in quanto, vivendo per un tempo troppo breve per consentire agli strumenti di misura di intercettarle, non possono essere osservate direttamente. Quello che gli scienziati rilevano sono solamente le tracce che lasciano sugli oggetti osservabili, come avviene ad esempio per le particelle e le antiparticelle virtuali rilevabili nello spazio tra il nucleo e gli elettroni degli atomi: esse producono piccoli cambiamenti negli elettroni dei quali, nonostante non sia possibile l’osservazione diretta, è possibile misurare l’energia con strumenti molto sensibili.
Quindi si può dire che esista una struttura microscopica in cui tutte le particelle conosciute appaiono e scompaiono continuamente proprio come increspature su di un mare. Questa attività è costante in tutto lo spazio ma è più facilmente rilevabile osservando uno spazio vuoto.

Le fluttuazioni energetiche dello stato fondamentale (vuoto quantistico) possono essere la spiegazione del fenomeno noto con il nome di “Effetto Casimir” che fu postulato nel 1948 dal fisico olandese Hendrick Casimir. La fenomenologia dell’effetto è semplice: fra due piastre conduttrici NON elettricamente cariche affacciate – poste ad una distanza dell’ordine del milionesimo di millimetro – si riscontra, in aggiunta alla reciproca attrazione per gravità, una particolare forza attrattiva che non può essere spiegata con alcun fenomeno di tipo classico ma solo con effetti legati alla situazione di “vuoto quantistico” che viene a formarsi fra le due piastre affacciate.
Dunque, se siamo ben consapevoli che le particelle si manifestano da una fluttuazione energetica del vuoto quantistico (o stato fondamentale), possiamo considerare ben fondata la teoria del fisico Massimo Corbucci, secondo la quale l’origine della materia sarebbe il Vuoto Quantomeccanico e non il Bosone di Higgs (cioè un’altra particella) che nessuno riesce a trovare.

Possiamo poi postulare che le frequenze di oscillazione del vuoto quantistico siano precise in base all’universo osservato?
Infatti, poiché le oscillazioni del campo di Maxwell (o elettromagnetico) dipendono dalla cavità in cui è racchiuso, si può affermare che l’energia minima e lo stesso stato fondamentale dipendano dalla cavità o dal “contenitore”. Ipotizzando, inoltre, le particelle elementari subnucleari come piccole fluttuazioni attorno al vuoto, ne consegue che, se il vuoto “cambia”, cambiano anche le particelle che vengono osservate.
Le proprietà della materia verrebbero quindi determinate dal vuoto e noi stessi saremmo delle piccole fluttuazioni attorno al vuoto tipico di quest’universo.

Facendo un breve accenno alla temperatura del vuoto, sono necessarie alcune precisazioni. Abbiamo visto che il vuoto assoluto implicherebbe l’assenza di qualsiasi quantità di materia o energia; un rilevatore di temperatura inserito in tale contesto di fatto comprometterebbe con la sua stessa presenza la caratteristica fondamentale del vuoto stesso. Inoltre, essendo il vuoto “vuoto”, il rilevatore non potrebbe far altro che misurare sé stesso.
Lo zero assoluto (-273,15°) è la temperatura teorica del vuoto, quella alla quale qualsiasi attività della materia è nulla: lo stato di inerzia totale. Ma la fluttuazione quantistica, intrinseca nella condizione di vuoto stessa, comporta l’impossibilità teorica e pratica di raggiungere lo zero assoluto ed il suo stato di assenza di qualsiasi fenomenologia.

In conclusione, possiamo dire che il vuoto, l’elemento più abbondante nell’universo, non è vuoto: esso possiede almeno una vibrazione quantistica teoricamente e praticamente ineliminabile: la fluttuazione del vuoto stesso.

Domande:

Un’ultima considerazione.
Facendo un parallelo tra fisica dello spazio/tempo e funzionalità cerebrali, è teorizzabile un collegamento tra lo stato fondamentale dell’universo e lo stato neuronale di DMN? In altre parole, la “schiuma quantistica”, che mostra l’universo mentre accorda il manifestarsi delle proprie energie, ed lo stato DMN, nel quale il sistema neuronale si armonizza col Bo. Nu., possono essere due aspetti della stessa funzionalità – costantemente presente ma più evidente nello stato di quiete – con la quale le innumerevoli manifestazioni si accordano con l’unità della funzione d’onda-universo?

Premesse.
– Secondo la fisica classica, conoscendo lo stato esatto in un determinato istante di ogni elemento di un sistema, è possibile predirne esattamente lo stato successivo.
– Il principio di incertezza di Heisenberg afferma che è impossibile determinare in un medesimo istante sia la posizione che la quantità di moto (velocità) di una particella.
– Gli esperimenti fisici evidenziano che le particelle posseggono natura sia corpuscolare che ondulatoria il che conferisce loro uno stato di non località.
– Il vuoto, osservato a scale microscopiche che permettano la rilevazione di fenomeni quantistici, mostra un’incessante attività di particelle virtuali il cui brulicare, anche se si equalizza e scompare a livello macroscopico, interagisce e supporta qualsiasi scambio energetico e di informazione inserendovi un Δ non prevedibile che, per quanto apparentemente minimo, in realtà modifica sottilmente qualsiasi concatenazione causa-effetto di leggi nell’universo.

È corretto affermare che l’universo, o il vuoto che lo contiene, mostri un sottile ma ineludibile grado di libertà tra le premesse contenute in un evento (evento A) e i suoi esiti (evento B)?
Da un punto di vista filosofico, il vuoto quantistico evidenzia che la perfetta libertà del contenitore “Vuoto Vuoto” assoluto si perpetua sia nel Vuoto “pieno” di informazioni che soggiace alla materia e contiene l’universo, sia negli eventi macroscopici all’interno dell’universo stesso, celandola discretamente a dimensioni microscopiche in modo da lasciare all’osservatore la libertà di accorgersene.

NOTE:

(1) I fotoni sono dei quanti di luce la cui energia, secondo la formula di Planck, è E=h · v. Dove “v” indica la frequenza della radiazione e h è la costante di Planck.

(2) Secondo il Principio di “Imprecisione” di Heisenberg di una particella è impossibile misurare contemporaneamente posizione e quantità di moto (la massa moltiplicata per la velocità). Più precisa è la misura della prima e meno precisa è quella della seconda e viceversa. In particolare egli dimostrò che l’indeterminazione della posizione di una particella, moltiplicata per l’indeterminazione della quantità di moto era sempre maggiore di un valore costante (la costante di Planck, la stessa che appare nella misurazione dell’energia del fotone). Heisenberg giunse a questa conclusione notando che le particelle misurate erano talmente piccole che qualsiasi interferenza degli strumenti di osservazione influenzava l’esito dell’osservazione stessa. In questo modo entrò, per la prima volta, nell’ambito della fisica il concetto che l’osservatore modificava l’evento, cioè il risultato della misura.

(3) Nel 1865 Clerk Maxwell unificò le leggi che descrivevano elettricità e magnetismo teorizzando l’esistenza dei “campi”, ossia regioni dello spazio in cui si esercita l’azione delle forze o in cui si risente di determinate caratteristiche. Il Campo di Maxwell (o elettromagnetico) è una sintesi di elettricità, magnetismo e onde luminose in un campo dinamico, che oscilla e si muove.

(4) In ambito quantistico, una delle conseguenze del principio di incertezza di Heisenberg comporta che più piccole sono le porzioni di spazio che consideriamo, più frequenti sono le fluttuazioni probabilistiche che vi si trovano. Lo stesso vale per l’energia di campo. Questa caratteristica comporta l’insorgere di una serie di difficoltà nel momento in cui si vogliono applicare i principi della relatività generale alla meccanica quantistica. Infatti, se consideriamo lo spazio da lontano questo appare regolare, ma se restringiamo progressivamente la regione esaminata, il campo gravitazionale comincia a subire delle fluttuazioni energetiche sempre più evidenti fino ad assumere l’aspetto di una “schiuma quantistica” secondo la definizione di John Wheeler. Come l’osservazione del mare calmo a distanze sempre minori rivela innumerevoli onde e frastagliamenti, così lo spazio a livello microscopico rivela una turbolenza sempre maggiore che culmina, a scala dell’ordine della lunghezza di Planck, in fluttuazioni quantistiche talmente violente che fanno sparire la struttura regolare richiesta dalla relatività generale. Se il campo gravitazionale venisse trattato quantisticamente, il risultato sarebbe incompatibile con i presupposti della relatività in quanto comporterebbe che certe probabilità quantistiche abbiano un valore infinito, cosa che matematicamente è priva di senso. La descrizione che la relatività generale fa dello spazio a scale astronomiche – “in assenza di massa lo spazio è piatto” – si rivela completamente inadeguata a descrivere la curvatura irregolare provocata dalla schiuma quantistica nello spazio a dimensioni microscopiche. Se però torniamo ad occuparci di scale più consuete, le oscillazioni si cancellano reciprocamente e ritorna la geometria regolare dell’universo.

(5) I. Licata, “L’origine quantistica dell’asimmetria temporale”, Di Renzo Editore, Roma 2010.